Benedetta Piccoli, volontaria in servizio civile in Africa con AUCI, si racconta.
A sei anni già sognavo l’Africa
Ciao a tutti, mi chiamo Benedetta ho 32 anni e sono laureata in medicina e chirurgia.
La mia passione per l’umanitario è nata quando ero molto piccola, mi ricordo che avevo 6-7 anni e i telegiornali all’epoca passavano dei servizi sulla guerra civile in Uganda, fu lì che dissi a mia nonna che sarei voluta partire per l’Africa con Medici Senza Frontiere (MSF).
Direi quindi che il servizio Civile in Africa è stato un po’ un trampolino verso questo mondo, una vera porta verso i miei sogni.
Ho scoperto del Servizio Civile Universale semplicemente guardando la Tv. Ero a casa e passarono la pubblicità del servizio civile e da lì ho iniziato a maturare l’idea di voler partire. Prima di tutto, ho dato un’occhiata ai progetti concentrandomi soprattutto su quelli sanitari visto che le malattie infettive sono sempre state la mia passione. Ho trovato un progetto di AUCI che appunto metteva al centro le malattie infettive come l’HiV e le malattie endemiche quali malaria, colera, etc. Così, decisi di presentare domanda.
La selezione andò bene. Ricordo le ultime domande che mi fece la mia selezionatrice. “Hai qualcosa da chiederci? Vuoi chiederci quando si parte? Quando partirai?”. Io le risposi: “Se mi prendete, si parte il 2 ottobre! Perché è il mio regalo di compleanno”.
E poi me l’hanno regalata per compleanno!
Effettivamente, siamo partiti il 2 ottobre del 2015 e arrivare in Kenya è stato assurdo. Siamo atterrati a Nairobi e da Nairobi siamo dovuti arrivare a Karungu, circa 12 e 13 ore di macchina. Ricordo queste strade lunghe, sterrate con questa terra rossa a fianco, con questi motorini colorati, delle zebre e delle scimmie ogni tanto ai lati della strada. Assurdo anche per i colori, per la prima alba che ho visto, per la diversità che stavo andando ad affrontare.
È stata questa la prima cosa che mi ha colpito: la diversità.
Mi rendevo conto che sia a livello lavorativo in ospedale che a livello di paesaggi era tutto completamente diverso rispetto a quello a cui ero abituata. Questa cosa mi ha messo anche un po’ in crisi perché dovevo stare lì a cercare di mediare prima di tutto con me stessa per trovare un equilibrio.
Soprattutto all’inizio non è stato facile. Mi sono accorta di avere delle mancanze dall’Italia. Queste mancanze possono riguardare l’utilizzo di alcuni farmaci, che non si trovavano a Karungu. Ma anche la comprensione verbale e non verbale con un’altra cultura. Ci sono dei gesti che per noi significano “sì” e magari in Kenya significava no.
Mettersi totalmente in gioco in Africa
All’inizio è stato complesso mettersi totalmente in gioco. Diciamo che è stato più un crescendo. All’inizio ero un po’ più timida, e cercavo di non calpestare quello che avevo intorno. Poi ad un certo punto mi sono resa conto che dovevo crescere.
Abbiamo portato avanti un progetto sulla prevenzione del cancro alla cervice e quando è stato possibile, ad inserire delle donne che avevano necessità di un’operazione o di un trattamento.
Ricordo con un sorriso una delle ultime esperienze. Un giorno una donna che abbiamo operato è uscita dall’ospedale e sono stata la prima persona che ha voluto vedere. E’ stato davvero molto gratificante, anche perché dopo due settimane era tornata per un controllo e ci ha portato come dono una una gallina viva.
Questa è stata una cosa molto bella che penso che non dimenticherò mai.
Proprio alla luce di tutto questo sono rimasta molto in contatto con l’organizzazione con cui sono partita, AUCI. Anche grazie a loro ho potuto fare delle altre esperienze. Sono rientrata un’altra volta sempre a Karungu ed una volta a Meru, dove da poco AUCI ha costituito un altro progetto di servizio civile.
Ho anche collaborato con loro nelle selezioni dei nuovi volontari. È una cosa molto bella perché leggere negli occhi le motivazioni che hanno le persone prima di partire è particolare. Essendo stata sempre dall’altra parte del tavolo, capire quali sono le motivazioni che spingono gli altri a partire e confrontarle anche con le mie è un bel giro di boa.
Un bagaglio che non finisce mai
Quando penso al Kenya non riesco a fare a meno di pensare a tutto quello che è stato a tutto quello che mi ha portato.
Per esempio mi ha portato alla candidatura ad essere giovane volontaria dell’anno ed è stata una bella soddisfazione. Ricordo quando è arrivata la comunicazione al mio responsabile. Lui è arrivato tutto contento dicendo: “My volunteer è stata candidata!”
E’ stata una bella sensazione. Ma in realtà tutto ciò che è stato il Kenya è stato bello aldilà dell’ospedale e dei rapporti che uno riesce a creare. Ciò che ti porti dietro sono quei sorrisi e quei valori che loro hanno.
Io credo che forse la cosa che ho imparato più di tutte e che spero di riuscire a portare sempre dietro, è la bellezza delle piccole cose. La bellezza di poter sentire il vento, di poter camminare scalza, di poter avere un un cuore nudo e di mettersi a nudo e prenderti tutto quello che ti può dare l’Africa.
Tutto quello che tu puoi donare non è minimamente paragonabile a tutto quello che ricevi. La cosa che mi porterò sempre sono i colori, sono le voci. Sono i “Bene-docta”, sono i Grazie. Ma soprattutto, tutto ciò che mi ha riempito, che mi ha portato ad essere quella che sono diventata adesso.
Mi rendo conto che la mia esperienza di vita giova tantissimo anche al mio lavoro. Ora riesco a comunicare in modo più semplice con i pazienti, perché ho meno filtri. Sevo ringraziare il Kenya ed il servizio civile per questo.
Per tutto questo e molto altro è un’esperienza che vi consiglio assolutamente e che consiglio a chi ha fatto un percorso sanitario come me. Perchè quello che ti può dare il Servizio Civile Universale è molto più di quanto tu possa dare ed è un bagaglio che non finisce mai.